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5/10/2021

Plusdotazione e dislessia: una storia di doppia eccezionalità

I bambini gifted spesso conquistano precocemente alcune tappe dello sviluppo cognitivo e presentano delle specifiche caratteristiche emotivo relazionali che non sempre rendono facile a genitori, insegnanti e psicologi rapportarsi con loro. La situazione diviene più complessa in presenza di una doppia eccezionalità, ossia nel caso in cui un bambino presenti un profilo di plusdotazione, in una o più aree, e unitamente uno specifico disturbo, dove per disturbo si intende qualunque tipo di sfida comportamentale, emotiva, fisica, ecc. 

Dono e difficoltà nei bambini doppiamente eccezionali sono due aspetti interdipendenti e conferiscono una maggiore complessità di gestione sia a livello pratico sia a livello educativo ed emotivo relazionale. Tra le aree maggiormente studiate nella letteratura sulla doppia eccezionalità troviamo il profilo in cui vi è la compresenza di un profilo di plusdotazione insieme ad un disturbo dell'apprendimento (DSA) ,quali dislessia, discalculia, disortografia, disgrafia. 

La doppia eccezionalità nel bambino gifted e DSA può portare a uno scarto significativo tra le capacità intellettive e le performance scolastiche, fino a trasformarsi in sottorendimento (underachievement). L'identificazione precoce diventa un fattore protettivo fondamentale proprio perché da un lato, in virtù delle loro capacità, i bambini e ragazzi gifted riescono a compensare, in parte, il disturbo e dall'altro spesso accade che il disturbo mascheri le caratteristiche della plusdotazione. 

La doppia eccezionalità ha un impatto anche nei rapporti famigliari: ci capita di frequente di incontrare genitori che vivono con molto stress e senso di inadeguatezza la sfida educativa che il loro ruolo li porta ad affrontare giorno dopo giorno.

E’ il caso della testimonianza di una mamma di un bambino plusdotato e dislessico, identificato precocemente, e della loro storia famigliare in cui molti genitori potrebbero rivedersi e cogliere spunti di riflessione.

 

 

Come inizia la storia della vostra famiglia alle prese con la doppia eccezionalità?

Lorenzo fin da piccolo ha presentato delle precocità che né io né mio marito abbiamo riconosciuto come tali ha iniziato a parlare a 10 mesi e nel giro di poco tempo era in grado di comunicare con frasi complete e corrette. Dimostrava una notevole capacità di memorizzare i nomi degli animali e delle loro caratteristiche e dei personaggi delle storie che gli leggevo. Era un bimbo sereno, curiosissimo, giocava volentieri con gli altri bambini, si dimostrava molto simpatico con gli adulti e ci sfiniva di domande. Non sapevo nemmeno cosa fosse la plusdotazione e in quegli anni non mi serviva saperlo.

Quando Lorenzo ha compiuto 3 anni abbiamo cambiato radicalmente la nostra vita, ci siamo trasferiti a Princeton negli USA. 

Sicuramente durante i 3 anni che abbiamo vissuto negli Stati Uniti Lorenzo ha ricevuto moltissimi stimoli e ha alimentato in modo esponenziale la sua curiosità verso tutto ciò che all’epoca gli appariva diverso e nuovo. E’ in questi anni che abbiamo cominciato a notare sia in modo autonomo che su segnalazione delle insegnanti alcuni comportamenti che si distanziavano da quelli dei pari.

Alla fine dei 3 anni di permanenza negli USA le insegnanti della Nursery School mi dissero che, inspiegabilmente secondo la loro esperienza, il livello di inglese di mio figlio è decisamente superiore a quello dei suoi pari madrelingua.

Anche in italiano Lorenzo parlava con grande proprietà di linguaggio, non faceva errori grammaticali o sintattici, aveva un ottimo vocabolario per essere un bambino in età prescolare. 

I suoi disegni, seppur infantili come tratti e rappresentazioni, avevano una strana, per l’età, ricerca del movimento e della profondità. Gli veniva naturale riflettere su concetti astratti come la “libertà”, la “giustizia”, l’”ingiustizia e condivideva con noi i suoi pensieri e i suoi dubbi.

 

La scuola primaria in Italia: come siete arrivati alla scoperta della dislessia?

A due mesi dal nostro rientro in Italia Lorenzo inizia la prima elementare dove il metodo di insegnamento è quello tradizionale, basato sulla ripetitività delle azioni e volto a una certa omologazione del livello di abilità degli alunni. Fin dai primi mesi di scuola Lorenzo appare estremamente annoiato, poco partecipe, si stanca facilmente nello svolgere compiti ripetitivi, si distrae di continuo, non è in grado di organizzare il suo materiale e di gestire il tempo a disposizione per eseguire le consegne. Inoltre inizia a manifestare molta lentezza nella lettura e difficoltà nel memorizzare poesie, tabelline, regole e procedimenti. Però quando si tratta di comunicare e di dire la sua opinione si manifesta come un bambino molto brillante e sicuro di sé, quindi ovviamente la prima cosa che le insegnanti pensano è che si impegni poco, che sia svogliato.

Di contro a casa Lorenzo è il bambino di sempre, allegro, curiosissimo, ha tanti interessi che sviluppa in modo autonomo e un po’ ossessivo in cui coinvolge tutta la famiglia e gli amici. Nonostante il mio aiuto nei compiti a casa il rendimento scolastico è molto altalenante e in seconda elementare decido di approfondire la causa di queste difficoltà lamentate dalle insegnanti. Lorenzo si sottopone alla batteria di test per i Disturbi Specifici dell’Apprendimento e scopriamo che senza ombra di dubbio è dislessico. Mentre la specialista che ci ha seguito mi spiega cosa comporta la dislessia e quali siano le azioni utili ad aiutarlo sia a casa che a scuola mi dice che, tra l’altro, “approfondendo il profilo cognitivo il bambino ha ottenuto un punteggio molto superiore alla norma nei test del QI, quindi è molto intelligente e vedrà che riuscirà a compensare”. Il riferimento a quella che poi, anni dopo, scoprirò essere una plusdotazione resta lì, sospeso, a margine del più ampio discorso in merito alla dislessia e alle difficoltà pratiche e quotidiane che questa comporta nella vita scolastica di mio figlio a partire dalla certificazione e dal piano didattico personalizzato previsto dalla legge 170 che tutela gli alunni con disturbi specifici dell’apprendimento. E qui iniziano i problemi seri perché la scuola pur dialogando con la mia specialista e pur stilando un PDP si dimostra da subito abbastanza ostile a gestire questa diversità. 

Non voglio soffermarmi più di tanto sulle difficoltà che abbiamo avuto durante i 5 anni di elementari a causa della mancata alleanza con la scuola perché sono certa che tutti gli episodi che potrei portarvi ad esempio sono già stati ampiamente vissuti da molti genitori con figli DSA. Gli strumenti compensativi previsti dal PDP, che sulla carta sono un diritto di mio figlio, venivano proposti al bambino come degli “aiuti”, una sorta di favore concesso per bontà d’animo…quando venivano proposti. Il PDP veniva costantemente disatteso e soprattutto quando Lorenzo cercava di portare a scuola quelle che sono le sue abilità innate o il frutto dei suoi interessi questi venivano costantemente bollati come “non richieste” e quindi non valutate. Lorenzo comincia a sentire questo clima ostile, comincia a soffrire di mal di testa frequenti, ad essere ansioso, disturbi del sonno. Vedere il proprio bambino soffrire perché si sente inadeguato, sbagliato, incapace è stato difficile da gestire per noi come genitori a livello emotivo e famigliare. Ci sentivamo impotenti e io personalmente avevo la costante paura che quel senso di inadeguatezza ed emarginazione provocato dall’ambiente scolastico stesse mettendo radici nel carattere di mio figlio fino a renderlo insicuro e fragile. 

 

Come siete riusciti a livello pratico a gestire questo malessere del bambino?

Mi sono messa letteralmente a studiare, ho letto libri, articoli, ho assistito a convegni sul tema, mi sono iscritta ad un corso pratico su come aiutare i bambini DSA a trovare gli strumenti compensativi più adatti a loro e a gestire al meglio il lavoro a casa. Per aiutarlo mi “invento” un modello per la gestione dell’apprendimento e dei compiti a casa, un modello di lavoro che da una parte cerchi di livellare il disturbo dell’apprendimento e dall’altra integri le sue personali abilità apprese in modo autonomo.

Utilizziamo video, documentari, giochi di ruolo per studiare storia, geografia, scienze e italiano. Utilizziamo le immagini, i disegni, la musica, il ballo per memorizzare e personalizzare i compiti. Usiamo la creatività per rendere meno pesanti e stancanti i lavori ripetitivi. 

Ma soprattutto cambiamo a livello famigliare l’approccio alla scuola, che resta una parte importantissima della vita del bambino ma non è tutta la sua vita. Gli spieghiamo cos’è la dislessia e cosa comporta, gli spieghiamo che non c’è niente di sbagliato in lui e che dobbiamo solo trovare una strada alternativa tagliata su misura sulle sue esigenze. 

E questo cambio di prospettiva funziona: l’ansia diminuisce, i mal di testa si diradano, il rendimento migliora sensibilmente nelle materie che gli piacciono. Lorenzo inizia ad acquisire una certa sicurezza anche a scuola dove arriverà a gestirsi autonomamente i suoi strumenti compensativi già in quarta elementare. 

 

Un passo in più: la plusdotazione

Tuttavia io ho un pensiero ricorrente che mi frulla in testa, ossia quel valore di Q.I. superiore alla norma che era emerso dalla batteria di test della dislessia. Com’è possibile che mio figlio in grado di memorizzare a 5 anni i nomi e le caratteristiche biologiche di oltre 200 dinosauri, in italiano e in inglese, non riesca a memorizzare la tabellina del 4? Com’è possibile che mio figlio dislessico, che si stanca dopo aver letto 20 righe di un libro sia in grado di esprimersi con tanta proprietà di linguaggio e scriva bene in italiano?

E l’inglese che è la bestia nera dei dislessici? Com’è possibile che dopo diversi anni dal nostro ritorno in Italia sia ancora così fluente e ricco dal punto di vista lessicale?

Decidiamo di indagare ulteriormente e dopo aver conosciuto Artemislab e la Dott.ssa Renati sottoponiamo Lorenzo alla valutazione per scoprire se rientra in un profilo di plusdotazione cognitiva. Ovviamente la risposta è sì, ci rientra eccome nonostante la dislessia.

Questo è il vero punto di svolta della nostra storia perché a fronte di una valutazione approfondita che tiene conto dei suoi punti di forza e di debolezza sia cognitivi che emotivo-relazionali finalmente io e mio marito cominciamo a spiegarci tutta una serie di cose che prima riuscivamo solo ad intuire. Un grande aiuto in termini di consapevolezza “famigliare” ci viene dato dal fatto che in questo periodo iniziamo a conosce altri genitori con figli plusdotati, ascoltiamo le loro storie, le difficoltà attraverso le quali sono passati, come le hanno risolte. Dalla condivisione con famiglie come la nostra nascono molti spunti di riflessione, ci riconosciamo nei loro fallimenti e nei loro successi, ci sentiamo meno soli. Sentiamo che la “nostra battaglia” affinché nostro figlio venga accolto e rispettato per quello che realmente è, è una battaglia che accomuna molti genitori e questa sorta di fratellanza ci fortifica e ci fa sperare in un futuro meno complesso.

Nel momento in cui Lorenzo viene valutato come plusdotato siamo in 5° elementare, ovviamente informo le insegnanti e ottengo la consueta reazione ostile. A questo punto non mi interessa più perché Lorenzo l’anno successivo andrà alle medie e abbiamo da tempo deciso di cambiare istituto. 

 

Come avete affrontato la scuola secondaria?

Scegliamo un piccola scuola paritaria, best practice di inclusione, un termine che si sente spesso e si vede davvero ancora troppo poco quando si parla di scuola.

E come si può intuire da questo momento la strada è in discesa.

Il clima generale che si respira in questa scuola è così sereno che il primo giorno, durante il consueto giro conoscitivo, mio figlio si alzerà in piedi e dirà alla sua nuova classe “Io sono Lorenzo, ho 11 anni, ballo la breakdance, adoro disegnare, il rap e i manga. Sono dislessico, che non significa che sono scemo, e sono plusdotato, che non significa che sono un genio.”

Il PDP stilato dalla scuola viene ogni anno condiviso con il ragazzo e gli viene spiegato in mia presenza dai docenti, non verrà mai disatteso nei tre anni seguenti.

Fin dai primi mesi emerge l’abilità di Lorenzo nell’inglese scritto e parlato: la docente decide di non aumentare il carico di lavoro del ragazzo ma gli viene richiesto di utilizzare le competenze già acquisite in modo più approfondito sugli argomenti trattati dal programma scolastico.

Durante le lezioni delle materie che prevedono la modalità CLIL (Content and Language Integrated Learning), storia, geografia, scienze, musica, educazione fisica e tecnologia, Lorenzo viene costantemente coinvolto dagli altri docenti come se fosse una sorta di “assistente”. 

Ci viene proposto di iscriverlo al corso preparatorio per la certificazione B1 Preliminary  frequentato dai ragazzi di terza media, quindi di due classi avanti. Questa attività non viene inserita nel PDP perché si tratta di un’attività extrascolastica. L’obiettivo non è tanto quello di superare l’esame quanto quello di far confrontare Lorenzo con studenti di livello di preparazione superiore. Nel secondo quadrimestre Lorenzo frequenta il corso preparatorio all’esame con ragazzi più grandi con cui lega immediatamente e con cui trova stimolante confrontarsi. Sostiene l’esame e ottiene la certificazione B1 Preliminary con un buon punteggio ma soprattutto con consapevolezza delle sue capacità e grande fiducia in sé stesso. 

La scuola organizza anche attività utili al supporto dei DSA, mette a disposizione degli alunni un gruppo di studio pomeridiano dove i ragazzi possono confrontare i propri strumenti compensativi e aiutarsi a vicenda, costruendo le mappe concettuali, nello svolgimento dei compiti a casa, il tutto sotto la supervisione del docente.

Grazie ad un giovane professore di italiano “illuminato” Lorenzo scopre che i libri, i romanzi,  non sono dei nemici, anzi. Per un dislessico che fatica a leggere, che si stanca e che vede le lettere “ballare” sul foglio è una scoperta elettrizzante. 

 

Questi tre anni sono stati intensi e ricchissimi, sono stati stravolti dalla pandemia ovviamente e anche complicati dall’adolescenza che è arrivata puntuale a confondere le carte in tavola, ma sono stati un percorso di crescita meraviglioso.

L’alleanza con la scuola si è rivelata essere un’arma vincente: sia Lorenzo come studente che io come genitore, abbiamo finalmente vissuto sulla nostra pelle “l’inclusione” e abbiamo compreso che prima di essere un metodo didattico, è un’attitudine  mentale, che si nutre di accoglienza, di empatia e di rispetto dell’individuo. 

Ci sono stati anche momenti difficili ovviamente, cali nel rendimento e difficoltà dovute alla dislessia, ma ogni volta gli ostacoli sono state affrontati e superati grazie alla costante attenzione dei docenti, degli specialisti e degli altri genitori che ci hanno accompagnato in questo tratto di cammino.

La mia storia finisce qui e il nostro domani è tutto da scrivere ma se mi guardo indietro e  vedo tutti gli sforzi fatti ne capisco il valore e oggi più mai ne traggo grande forza e speranza per il futuro.

 

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