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23/12/2020

PLUSDOTAZIONE: QUALI STRUMENTI PER LA SCUOLA? Di Roberta Renati

 

 

Gli studenti plusdotati sono un gruppo fortemente eterogeneo, e questo rende particolarmente complesse e non lineari le questioni legate al loro supporto, soprattutto a scuola. È risaputo che la plusdotazione non rappresenta di per sé una garanzia per il successo, quanto piuttosto la possibilità che il potenziale di un dato individuo possa sbocciare, crescere, ed esprimersi al meglio.

La letteratura scientifica ha messo in luce che i doni naturali con cui il bambino nasce, per svilupparsi, necessitano di specifici catalizzatori, che riguardano il soggetto e i suoi contesti di vita. Il fatto di poter avere accesso ad un contesto adeguatamente supportivo, capace di riconoscere, comprendere e mettere in atto specifiche azioni di sostegno, atte a garantire il benessere globale del bambino/ragazzo e, di conseguenza, anche la sua attitudine e motivazione verso gli apprendimenti, è un fattore protettivo centrale. 

Famiglia e scuola sono i contesti educativi primari, e sono co-protagonisti rispetto alla possibilità che il potenziale degli studenti gifted si possa realizzare.

In particolare, la scuola è un fondamentale contesto valoriale e sociale, dove tutti gli studenti dovrebbero avere la garanzia di essere stimolati da sollecitazioni intellettuali adeguate al loro potenziale, all’interno di una cornice inclusiva. Questa azione fa si che il contesto scolastico sia un luogo di crescita umana ed intellettuale, dove gli studenti possono scoprire e sviluppare i loro punti di forza, sperimentarsi con i limiti imparando a gestire a frustrazione, per mettere in campo le risorse fondamentali che permetteranno loro di scegliere, progettarsi e costruire il percorso che li condurrà verso la piena realizzazione dei loro doni. 

 

Concretamente come può la scuola sostenere gli studenti plusdotati?

 

Attualmente, a livello ministeriale, gli studenti plusdotati non godono ancora di un riconoscimento ufficiale, utile a definire criteri condivisi in merito alle procedure di identificazione e, soprattutto, in riferimento alle azioni didattiche utili al supporto dei loro peculiari bisogni di apprendimento ed emotivo-relazionali. 

Nell’ottobre 2018 è stata presentata la proposta di legge Aprea (C.1291) volta a inserire gli studenti apc nei BES e a modificare la disciplina sulla formazione degli insegnanti (d lgs 59/17).

Successivamente nel febbraio 2019 è stata presentata la proposta di legge Zanettin (C.1607) “Disposizioni per il riconoscimento degli alunni ad alto potenziale cognitivo, l’adozione di piani didattici personalizzati e la formazione del personale scolastico” volta ad ottenere una legge specifica sull’APC che include in sé il riconoscimento precoce degli studenti APC, la formazione degli insegnanti e le misure didattiche specifiche per tali studenti (quali accelerazione, arricchimento, approfondimento e compattazione del curriculum).

Nell’aprile 2019 il MIUR ha divulgato una nota (n.562) in cui afferma che gli alunni gifted possono essere accompagnati nel percorso scolastico ai sensi della direttiva ministeriale sugli alunni BES del 27/12/2012 e, quindi, è possibile predisporre per il loro percorso scolastico un opportuno Piano Didattico Personalizzato (PDP). 

Il PDP è uno strumento che consente di personalizzare la didattica sulle peculiari necessità degli studenti, sulla base dei loro specifici profili, stimolando il processo di inclusione del singolo studente nel suo gruppo classe. Questo documento, redatto dai docenti, anche alla luce delle indicazioni degli specialisti, può riguardare aspetti differenti dell’esperienza scolastica ed una o più aree di studio; se ben utilizzato, può aiutare a prevenire l’insorgenza di disaffezione scolastica negli studenti gifted e, sul lungo periodo, nei casi con maggiore sofferenza, l’abbandono scolastico.

È molto importante evidenziare che il PDP è un mezzo che ha come premessa una reciproca collaborazione scuola-famiglia, libera da pregiudizi, in cui la comunicazione è fluida e trasparente. Questo discorso assume particolare significato in presenza di studenti ad alto potenziale cognitivo o plusdotati poiché spesso nel dialogo scuola-famiglia non sembra semplice riuscire a trovare un compromesso finalizzato a sviluppare, anche in ambito scolastico, le grandi risorse di questi ragazzi. Questo aspetto si complica ulteriormente se si deve intervenire sulle situazioni di doppia eccezionalità, che necessitano un PDP capace di tenere conto sia dei bisogni connessi alla plusdotazione, sia delle specifiche aree di difficoltà dello studente.

 

Perché un PDP per gli studenti plusdotati?

 

Può sembrare un paradosso, ma dobbiamo tenere a mente che tra tutti gli studenti di una classe, lo studente che probabilmente imparerà meno durante l’anno scolastico è lo studente gifted. È sicuramente un’affermazione forte ed è necessario spiegarsi bene e contestualizzare la questione: il motivo è legato al fatto che la maggior parte degli studenti plusdotati, durante gli anni della scuola primaria, arriva nel contesto scolastico conoscendo già gran parte del programma didattico standard. Questo mette questi studenti nella condizione di avere un buon rendimento (spesso eccellente) senza dover investire molte energie. Imparano che per avere successo non devono faticare, e questa premessa nel tempo può creare non pochi problemi, che si esplicitano principalmente durante gli anni della scuola secondaria.

La scuola può così diventare lentamente un luogo caratterizzato da una mancanza di sfide cognitive, e questo rappresenta la prova più difficile che il bambino deve affrontare quotidianamente. Spesso questi piccoli studenti, escono da scuola di malumore riferendo di essersi annoiati, a volte sono silenziosi e chiusi in loro stessi, oppure particolarmente irritabili; in alcune situazioni, la mattina può diventare faticoso convincerli ad andare a scuola. È bene sottolineare che non si sta affermando che la noia è in assoluto qualcosa di negativo, tutti dobbiamo imparare a “stare” nella frustrazione perché è parte della vita ma, è anche necessario comprendere bene qual è l’origine di questo sentimento. La “noia” di cui spesso parlano questi studenti può significare tante cose, e nessuna esclude l’altra: troppo tempo libero perché finiscono i compiti assegnati velocemente, la mancanza di sfide appropriate legata alla sensazione di non “essere visti” che può anche portare a disagio comportamentale,  troppe ripetizioni di un concetto che per loro è già acquisito da tempo, difficoltà connessa al conflitto tra il desiderio e il piacere di aiutare gli altri (spesso quando finiscono prima viene loro richiesto di supportare i compagni in difficoltà) ma, al tempo stesso la sensazione di perdersi qualcosa, il desiderio di poter condividere i propri interessi, di parlare con i docenti e con i pari di argomenti che li appassionano.

Questi studenti necessitano di modalità di insegnamento differenti, hanno bisogno che venga data loro l’opportunità di ricercare, scoprire, ipotizzare e sperimentare. Questo perché il loro modo di apprendere è diverso da quello dei loro pari con sviluppo tipico, imparano prima e più velocemente; già dalla scuola dell’infanzia hanno bisogno di più stimoli e di confrontarsi con la complessità. Questo non significa che questi bambini siano capaci e competenti in ogni area di studio, potrebbero eccellere anche in un solo ambito, ma bisogna sempre tenere in considerazione che il loro modo di approcciarsi alla conoscenza è differente, necessitano di essere stimolati in modo adeguato. Nonostante la letteratura ci ricordi che sono molto resilienti, questi studenti non sono “superbambini” (per fortuna!) e hanno bisogno di essere visti, accompagnati e sostenuti, proprio come i loro compagni di classe. Il rischio della mancanza di sfide adeguate, è che questi studenti non imparino a confrontarsi in modo  costruttivo con l’errore ed il fallimento,  costruiscano un’immagine di loro stessi distorta, caratterizzata da alte aspettative e da scarsa tollerabilità alla frustrazione della fatica. Può succedere che di fronte a compiti complessi, che richiedono sforzo, costanza e anche un po’ di coraggio per affrontare qualcosa di nuovo dicano: “È troppo difficile, non fa per me… non ne sono capace… non lo voglio fare… non mi interessa”.

La famosa psicologa Carol Dweck ci ricorda nei suoi scritti che la chiave del successo è la possibilità di riuscire ad essere il nostro sé migliore, e non essere meglio degli altri. Il fallimento e lo sforzo e la perseveranza sono le chiavi per la riuscita scolastica e lavorativa. Imparare ad affrontare la sfide è una premessa fondamentale per il successo formativo. È fondamentale che questi studenti imparino, a partire dall’avvio della loro scolarizzazione, che la fatica e l’impegno sono importanti, e l’unico modo per assimilare questo concetto è farne esperienza diretta, attraverso le giuste stimolazioni. Questo permette anche lo sviluppo di un mindset dinamico, che fa si che abbiano una visione incrementale delle loro competenze e possibilità. Essere plusdotati non significa non impegnarsi ed avere comunque successo, questa è un’idea distorta e molto pericolosa, che può provocare molta sofferenza. Più a lungo sono spinti a credere a questa “bugia”, più sarà per loro difficile affrontare le sfide quando le incontreranno. Il rischio è che non imparino ad organizzarsi, a gestire il tempo, a gestire la frustrazione della competizione e di risultati non sempre eccellenti. Il rischio è che ad un certo punto scelgano di “giocare in panchina”, che si sentano scoraggiati, poco di valore e si chiudano in loro stessi.

La psicologa Silvia Rimm, nota esperta nell’ambito della plusdotazione, mette in luce quanto l’autostima si alimenti attraverso esperienze di successo in qualcosa che si percepisce sfidante e difficile. Non avere le giuste stimolazioni, perché posti di fronte a richieste troppo semplici, nel tempo, contribuisce quindi anche a minare l’autostima dello studente. Alcuni studenti plusdotati potrebbero anche scegliere di nascondere il loro potenziale, perché è più “sicuro” essere nella media, piuttosto che mostrare le proprie abilità e rischiare di fallire.

 

Un caso 

Lorenzo 11 anni, dislessico e discalculico con un profilo di plusdotazione valutato da ArtemisLab in cui spiccano come punti di forza l’area linguistica e verbale.

E infatti, nonostante la dislessia, Lorenzo ha sviluppato in modo autonomo delle competenze nell’inglese parlato e scritto, nella comprensione e nel vocabolario decisamente superiori a quelle dei ragazzi della sua età. Dopo un’esperienza burrascosa durante la scuola primaria i genitori decidono di cambiare istituto e di iniziare la secondaria di primo grado in una scuola diversa alla quale, a inizio anno, consegnano sia la certificazione del DSA che la valutazione della plusdotazione. Dopo un periodo di osservazione di un paio di mesi il corpo docente presenta alla famiglia un PDP pensato sulle specifiche esigenze del ragazzo in cui, oltre agli strumenti compensativi/dispensativi per il DSA, sono presenti anche azioni di valorizzazione e sviluppo del potenziale  nelle lingua inglese. 

Quali sono queste azioni? Come prima cosa la docente di lingua decide di assegnare a Lorenzo compiti a casa più complessi rispetto al resto della classe, non aumenta il carico di lavoro del ragazzo ma gli viene richiesto di utilizzare le competenze già acquisite in modo più approfondito sugli argomenti trattati dal programma scolastico. Durante le lezioni curricolari di grammatica e lessico la docente trova il modo di coinvolgerlo e di fargli condividere con la classe le sue competenze: la noia spesso lamentata dal ragazzo comincia piano piano a svanire, i compagni trovano interessante e divertente questo suo ruolo di “aiutante” durante le lezioni di inglese. Per l’ora di conversation settimanale gli viene richiesto di preparare un video con il cellulare, simile a quelli che i ragazzi postano sui social, in cui parla per circa 3 minuti di un argomento specifico assegnatogli dalla docente, gli viene lasciata totale libertà di espressione e di elaborazione del topic assegnato a patto che il livello di approfondimento sia alto in termini di lessico e contenuti. Durante la lezione il video viene proiettato in classe e viene usato come spunto per far interagire i ragazzi tra loro in lingua, per fare domande, per arricchire il vocabolario e per approfondire l’agomento trattato. Le ore di inglese non sono mai state così divertenti e la ricaduta sul gruppo classe è immediata: dato l’entusiasmo generale viene chiesto a tutti i ragazzi di approfondire un dato argomento ed esplicitarlo con le medesime modalità in un video da far vedere ai compagni, ovviamente ognuno realizza il compito e viene valutato in base al proprio livello di abilità, senza pressioni eccessive e senza confronti demotivanti. Durante le lezioni delle materie che prevedono la modalità CLIL (Content and Language Integrated Learning), storia, geografia, scienze, musica, educazione fisica e tecnologia, Lorenzo viene costantemente coinvolto dagli altri docenti. 

Alla fine del primo quadrimestre viene proposto alla famiglia di iscrivere Lorenzo al corso preparatorio per la certificazione B1 Preliminary  frequentato dai ragazzi di terza media, quindi di due classi avanti. Questa attività non viene inserita nel PDP perché si tratta di un’attività extrascolastica. L’obiettivo della proposta non è tanto quello di superare l’esame quanto quello di far confrontare Lorenzo con studenti di pari livello di preparazione e di sviluppare ulteriormente le sue abilità in inglese. La proposta viene accettata e nel secondo quadrimestre Lorenzo frequenta il corso preparatorio all’esame con ragazzi più grandi con cui lega immediatamente e con cui trova stimolante confrontarsi. Il corso è sicuramente impegnativo ma viene percepito dal ragazzo come un’attività divertente,  motivo per il quale viene portato a termine senza grandi difficoltà e senza aspettative eccessive. Ovviamente sostiene l’esame e ottiene la certificazione B1 Preliminary con un buon punteggio ma soprattutto durante quest’anno, grazie alle azioni messe in atto per sviluppare il suo potenziale,  guadagna una maggiore consapevolezza delle sue capacità e grande fiducia in sé stesso.

Va sottolineato che il rapporto tra scuola e famiglia in questo caso specifico è sempre stato estremamente trasparente e collaborativo e che il PDP, comprensivo di strumenti per il DSA e la plusdotazione indicati dagli specialisti di riferimento e integrati dai docenti, è sempre stato applicato con grande correttezza da entrambe le parti.

 

Conclusione 

La scuola e i docenti hanno un ruolo cardine nello sviluppo del benessere di questi studenti. Per lo studente ad alto potenziale è di fondamentale importanza il supporto di docenti in grado di riconoscere le sue peculiarità e i suoi bisogni ,e di conseguenza supportare il suo potenziale attraverso azioni didattiche mirate. Un fattore protettivo per la relazione pare essere la possibilità per il docente di avere una specifica formazione e un supporto in merito al tema della plusdotazione; gli studi ci confermano che i docenti che hanno ricevuto uno specifico training sul tema della gifteness sono più efficaci dei docenti non formati. 

All’interno del progetto “Sostenere i talenti per prevenire il disagio scolastico e sociale” (Renati & Pfeiffer, 2018) è stata effettuata un’azione di supporto ai docenti di riferimento degli studenti gifted. Ove possibile sono state messe in atto strategie utili a valorizzare le differenze in una prospettiva inclusiva, lavorando contemporaneamente a livello cognitivo e a  livello emotivo-relazionale, con obiettivi a breve, medio e lungo termine.

Questa azione ha permesso di mitigare sentimenti di sfiducia e difficoltà comunicative che vedevano coinvolti sia i docenti che i genitori permettendo di creare un’alleanza virtuosa tra scuola e famiglia a tutto vantaggio del benessere del bambino. 

I docenti di fronte a questi studenti dovrebbero in primo luogo chiedersi cosa cosa conoscono già, una domanda utile potrebbe essere: “è possibile che questo studente conosca già i contenuti che andrò a spiegare per il prossimo trimestre?” per avere la risposta è necessario fare un’analisi attenta delle conoscenze e competenze dello studente, e sulla base dell’esito, sarà possibile mettere in campo strategie adeguate.

Tali strategie sono centrali nello sviluppo del potenzale e si rivelano spesso, come nel caso descritto, una fondamentale risorsa per garantire al bambino/ragazzo una maggiore stabilità negli aspetti socio-relazionali all’interno del contesto scolastico. 

La consapevolezza delle proprie capacità, il riconoscimento delle stesse da parte degli insegnanti, le attività di inclusione nel gruppo classe sono tutti aspetti che contribuiscono a formare individui equilibrati dal punto di vista emotivo che sapranno affrontare le sfide presenti e future con fiducia in sé stessi e negli altri.



[1] https://www.camera.it/leg18/126?tab=&leg=18&idDocumento=1291&sede=&tipo=

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